IL FARNESINO

Roma -

Voce ufficiale di simpatizzanti e iscritti del Sindacato Autonomo Farnesina  RdB P.I.

ANNO 2006 nr 2

Indice di questo numero 

PRECARI lavoratori ad honorem Calpesti e derisi e senza speranza  di un futuro migliore. Lettera di uno stagista del MAE

Il MAE prossimo venturo del Ministro degli Esteri d’Alema. Analisi, scenari e vlutazioni del Sindacato Farnesina RdB.

ADDIO, Madagascar.

DEMOCRAZIA e trasparenza: il tempo è galantuomo

La GRANDE TORTA, alias la grande abbuffata

1. PRECARI lavoratori ad honorem. Calpesti e derisi e senza speranza di un futuro migliore

Lettera di uno stagista del MAE.

ciao,

desidero complimentarvi con voi per aver portato all’interno del MAE la questione dei musicisti palestinesi. Complimenti inoltre per il vostro  impegno e lavoro dalla parte di chi ha scarso potere contrattuale.

Vorrei rientrare in quest’ultima categoria, ma io il potere contrattuale non so proprio cosa sia.

Sono una di quelle facce giovanili che si incontrano per i corridoi del MAE, quelli più sfigati però, quelli che lasceranno per un minimo di tre mesi di stage oltre 900 ore qui dentro senza ricevere neanche un buono pasto. sarà un’esperienza importante continuano a ripetermi, ma per me è come assolvere all’obbligo militare che tra l’altro non ho mai fatto.

È vero l’ho scelto io, ma........................ mi chiedo come sia possibile che in uffici pubblici sia permesso tutto questo, questo continuo ricambio di giovani precari che per tre mesi portano avanti uffici interi e poi se ne vanno. Arrivano i nuovi, l’ufficio deve ricominciare tutto da capo, per non parlare poi della catalogazione dei documenti, ognuno con il suo ordine, ognuno con il suo caos. non so se riuscirò a resistere altri due mesi, come faccio a pagarmi la vita? dalle 9 alle 19 devo restare in ufficio e poi?

Si ho capito che è un’esperienza irripetibile, ma come la mantengo quest’esperienza?

Sono sfruttato, siamo sfruttati, non come precari ma come persone, sfruttati nello spirito.

Siamo parte dei nuovi schiavi, apparteniamo alla categoria degli schiavi da scrivania.

Scusate per lo sfogo.

Grazie
 

RdB Farnesina ha portato, unico tra le OO.SS. presenti al MAE, la  questione all’attenzione del precedente Ministro degli esteri, lo scorso anno, poi ci sono state le elezioni e il cambio di governo. RdB  Farnesina ha riproposto la questione lo scorso 26 settembre, nell’incontro con il nuovo Ministro degli esteri, sempre quale unico sindacato a parlare di questo tema. Nessuna risposta dal vertice politico,  dal vertice amministrativo e dagli altri sindacati. Poiché riteniamo  che il “lavoro nero” al MAE, tale è questa moderna forma di schiavitù da scrivania, sia prima di tutto una questione morale ne abbiamo  fatto un momento centrale della nostra attività sindacale. Dopo il  grande successo della manifestazione nazionale dl 6 ottobre, proseguiremo nelle iniziative percorrendo tutte le strade. La nostra coscienza ce lo impone!  Ragazzi non siete soli!
 

2. IL MAE prossimo venturo del Ministro degli Esteri D’ALEMA. Analisi, scenari e valutazioni del Sindacato Farnesina RdB

Il MAE uscirà dal labirinto della Finanziaria 2007 con gli stessi problemi  con cui vi è entrato. I problemi strutturali del MAE resteranno senza  risposta, perché da un lato bisogna rispettare il patto di stabilità in un  Paese, e dall’altro la Finanziaria non è lo strumento adeguato per intervenire con una riforma di più ampio respiro che vada a toccare i nervi  scoperti: organizzazione della sede centrale; funzionamento della rete  estera; semplificazione amministrativa del MAE.

UN BILANCIO NECESSARIO

Invece ci sarebbe proprio bisogno di un bilancio della riforma del 1999.  Lo diciamo da diverso tempo e ci fa piacere che il Ministro Massimo  D’Alema condivida questa nostra preoccupazione. La riforma del 1999  non ha portato alcun vantaggio organizzativo misurabile in termini obiettivi. La moltiplicazione dei CdR ha generato il caos organizzativo, che  assorbe le migliori energie del Ministero e richiede l’intervento quotidiano della Segreteria Generale. Le Direzioni Tematiche non comunicano  con le Direzioni Geografiche. Si lavora sugli stessi dossier gli uni all’insaputa degli altri. Separare la DGAA dalla DGPe, i due lati di una medesima medaglia, ha fatto precipitare la produttività delle risorse destinate  a far funzionare la macchina. L’unità della Casa, già seriamente minacciata dalla presenza di CCNL diversi (Diplomatici, Dirigenti Amministrativi,  Aree Funzionali), è stata messa in crisi dalla contrapposizione tra chi ha  le garanzie di una carriera (il personale diplomatico) e chi non solo non  ha più una carriera (le AAFF) ma non ha nessuna prospettiva di veder  premiato il proprio lavoro. L’intero sistema premiante in uso per le aree  funzionali (dal FUA alle riqualificazioni) è assolutamente inadatto a incentivare i lavoratori del MAE. Il personale diplomatico si occupa dei dettagli, gli orari di lavoro si allungano, consulenti ed esterni rimpiazzano il  personale di ruolo: frustrazione e demotivazione ne sono ormai il frutto  più evidente nelle stanze e nei corridoi del Ministero.

IL MOLOCH CONTABILE

Il bilancio del MAE è suddiviso in 510 capitoli di spesa, di cui 135 sono  relativi alle sedi all’estero. Questo imponente e obsoleto apparato contabile serve per classificare, inquadrare, verificare, richiedere, autorizzare  l’imponente budget disponibile nelle sedi: cifre intorno ai…diecimila  euro! E’ evidente che non vi è alcun rapporto tra il sistema contabile in  uso al MAE e la realtà del funzionamento delle sedi. Questa dissociazione è un terreno estremamente fertile per la produzione di patologie  sistemiche. La fenomenologia è varia e stagionale. Mentre da una parte  non si riescono a pagare le bollette della luce o del riscaldamento, si  devono chiudere i telefoni, non si può ordinare la carta negli uffici, dall’altra ci sono risorse inutilizzabili, destinate ad essere dissipate.  Il sistema contabile del MAE è un Moloch affamato di risorse umane al  quale tutti dobbiamo rendere omaggio. Il tempo speso nei quotidiani  bizantinismi contabili, le energie investite nei complessi riti per propiziarsi il favore delle divinità allorché si richiede quanto serve per lavorare, le  lunghe veglie in attesa del cenno di assenso per sbloccare le ricorrenti  crisi gestionali, sono fenomeni difficili da spiegare ai non iniziati. Ma la  realtà preme sul mondo virtuale dei “buro-con”, gli officianti del rito ancestrale del registro a quadrettoni. Negli ultimi anni, l’aggravarsi di tale  stato di cose ha investito migliaia di semplici cittadini e imprenditori che  stanno pagando le conseguenze di tale involuzione liturgica. In termini di  sviluppo e di consenso l’impatto si farà sentire a breve scadenza.

CHI CAPISCE IL MAE? 

Gli organi di stampa e le altre amministrazioni rendono omaggio  formale al ruolo strategico degli Affari Esteri per la pace e lo sviluppo nazionale, ma contemporaneamente ci chiedono di operare  in condizioni finanziarie impossibili.  RdB Farnesina ha espresso la propria ferma posizione che ulteriori  tagli si tradurrebbero in “coltellate” nella carne viva  dell’Amministrazione. Bisogna rifiutare qualsiasi ipotesi di taglio della  rete ed evidenziare il fatto che il MAE è un Ministero di entrate oltre  che di spese. Una parte consistente dei proventi dovrebbe costituire  risorse proprie per incentivare, formare e motivare il personale. Le  percezioni consolari sono una fonte importante di risorse che potrebbero essere gestite direttamente dal MAE. Si rischia invece di taglia re alla cieca, finendo col colpire le entrate invece di tagliare gli sprechi! Per altro, le risorse per le spese di funzionamento istituzionale  possono essere reperite dalle entrate erariali, oggi risultate assai  maggiori di quelle previste fino a poche settimane fa. Solo chi capi sce il MAE può mettere mano ad una riforma della sua struttura.  

RITOCCARE NON BASTA

Si deve pensare che il problema del reperimento delle risorse non  è legato ad una fase congiunturale sfavorevole. Occorre ripensare  la struttura complessiva del nostro Ministero in modo da tenere  presente i punti forti della nostra rete e le grandi potenzialità di sviluppo che restano inespresse. Gli sprechi ci sono, e noi li conosciamo bene. Prendiamo un settore a caso, quello culturale. Paghiamo  l’ISE a 80 presidi in sedi all’estero in cui non c’è nemmeno una scuola italiana. “Regaliamo” decine di lettori universitari a potenze economiche come la UCLA o il MIT, che certo potrebbero ben permettersi di pagare un professore di italiano in più. Abbiamo personale  di altre amministrazioni in funzioni di esperto culturale presso sedi in  cui c’è l’Istituto Italiano di Cultura. Ci sono anche le opportunità che  non si sfruttano: la domanda di lingua italiana è in crescita in tutto il  mondo, come è stato recentemente riconosciuto anche dal  Sottosegretario degli Italiani all’estero, però non riusciamo a man dare all’estero gli addetti di ruolo alla promozione culturale ad organizzare i corsi di lingua, che potrebbero incrementare i già non indifferenti introiti. Sono solo esempi, ma sono estremamente significati vi di una realtà generale.  E’ evidente che se pensiamo di proporci come soggetto attivo nel  reperire risorse occorre promuovere una diversa concezione del ruolo  del personale dirigente e non. Ritoccare non basta. Oltre alle negatività che bisogna individuare ed eliminare, ci sono forze nuove e positive che vanno incentivate. Mentre oggi invece la forza dell’inerzia  prevale invece su ogni altra spinta, per quanto razionale e motivata.  

UNO SCAMBIO POLITICO

Occorre investire in risorse umane e assumere nuovo personale di  ruolo per far fronte ai nuovi compiti assegnati dal governo al MAE  negli ultimi mesi (ufficio di collocamento nei consolati, elezioni politi che, sviluppo commerciale e culturale, interfaccia per le missioni militari di pace ecc.). Si fa strada invece l’ipotesi che enti privati possa no essere investiti di funzioni pubbliche: i patronati sindacali potrebbero sostituire i consolati. La base giuridica è costituita dalla direttiva  della DGIT del dicembre del 2005 in cui si impartiscono disposizioni  per affidare l’attività consolare ai patronati. La strategia dei sindacati  confederali del MAE di fronte a questo attacco è stata “facite  ammuina”. Si tratta infatti di uno scambio politico, in cui i protagonisti sono le centrali sindacali che hanno tutto da guadagnare, mentre  il personale del MAE tutto da perdere.  Cinquemila dipendenti MAE sono elettoralmente irrilevanti e possono essere tranquillamente abbandonati al loro triste destino in  cambio di posti e risorse (centinaia di milioni di euro per anno che  affluiscono nei bilanci dei sindacati, che non sono pubblici e non sono  certificati, e migliaia di posti clientelari nelle strutture collegate ai sindacati) che servono alla sempre più ingombrante macchina sindaca le, vero motore politico-economico della seconda repubblica. I sindacati confederali si sono specializzati nell’intermediazione tra P.A. e  cittadino, tra P.A. e piccole e medie imprese, fino a voler svolgere un  ruolo lontanissimo dalla loro missione istituzionale, che viene dilatata  fino al grottesco. Niente resta fuori dalla logica onnivora: supermercati, banche, assicurazioni, società di servizi, società finanziarie. Una  cospicua fetta dell’economia nazionale, alimentata dai soldi pubblici, ruota intorno all’espansione delle attività economiche e finanziarie  dei sindacati confederali.  E’ chiaro il disegno di impadronirsi delle risorse collettive con provvedimenti ad hoc. Un solo esempio: il giro di affari di rimborso ai  patronati da parte dello Stato per fare quelle pratiche che dovrebbero essere di competenza degli uffici della P.A. è un bel business:  320 milioni di Euro in un anno.  

IL MAE LEGGERO

Il MAE leggero, composto dal vertice politico, da due-trecento funzionari di ruolo (diplomatici e altri) e da un numero indefinito di consulenti (i clientes politici), schiavi di scrivania (stagisti), appaltatore di  funzioni ad enti esterni (patronati) che sostituiscono i consolati, non  è soltanto un brutto sogno, un incubo, ma una realtà possibile, uno  scenario ben definito nei think tank che lavorano alle spalle della  politica spettacolo. Chissà che ne pensano i rappresentanti dei sindacati e dei patronati che siedono nel CGIE in pieno conflitto di inte ressi? Vorranno favorire le istituzioni pubbliche o i patronati che dirigono? Contrastare questo scenario dipende solo da noi.  

RIFORMARE SEMPLIFICANDO E’ GIUSTO 

La flessibilità gestionale che è concessa ad uno qualsiasi degli  undicimila istituti scolastici del Paese è un miraggio per le nostre  sedi all’estero. Nonostante i tagli degli ultimi anni, il MEF torna  periodicamente a mettere sotto la lente di ingrandimento l’ISE, i  nostri consolati, le spese di manutenzione. RdB Farnesina ha  espresso il proprio appoggio alla bozza elaborata dal SNDMAE,  sottolineando la necessità di agire in tempi rapidi evitando la  soluzione insufficiente. Nel caso della semplificazione, come in  quello più generale di tutto il MAE la sensazione è che il tempo è  poco e che ci sia fin troppa prudenza nell’introdurre innovazioni che  tolgono incrostazioni di micropotere. Too little too late.  Anche se molti fanno finta di niente, nutriti di wishful thinking,  occorre subito fare fronte comune per restituire alle procedure  amministrative efficacia e concretezza finalizzate a fornire servizi di  qualità ai cittadini elettori in Italia e all’estero, nonché prospettive  di sviluppo agli imprenditori e al Paese.  Il rilancio del MAE passa attraverso un percorso irto di ostacoli. Non  basta la riforma della Cooperazione allo Sviluppo così cara al Ministro,  né possiamo accontentarci di tornare a promuovere l’immagine del  Paese con i bonifici agli Organismi Internazionali e alle ONG. La presenza del nostro Paese all’estero si nutre di cultura e di economia, di  servizi e di idee, di atti e di persone. Come pensare di rilanciare la  nostra azione senza prevedere di ripensare la nostra struttura?  

CHI LOTTA PUO’ PERDERE MA CHI NON LOTTA HA GIA’ PERSO 

Non ripetiamo gli errori del recente passato. Nel 1978 i sindacati  confederali rifiutarono di fare corpo con i diplomatici, gettando le  basi della rottura dell’unità della Casa e della successiva privatizzazione delle AAFF; con la riforma del 1999 il personale delle AAFF  ha subito un arretramento nelle funzioni e nel diritto e il peggiora mento delle retribuzioni di fatto. Il passaggio dagli automatismi alle  riqualificazioni ha avuto un solo risultato: la crescita delle strutture  di formazione dei sindacati, che ora chiedono sempre più.  E’ evidente che i sindacati confederali, che hanno fortemente voluto  la privatizzazione del pubblico impiego, con i risultati in termini di  salario e dignità del lavoro che tutti abbiamo sotto gli occhi, ora sono  tra le forze che accompagnano lo smantellamento della Pubblica  Amministrazione, non per anacronistico thatcherismo (lo “stato leggero” costa di più al contribuente!), ma perché hanno precisi e priva ti interessi: soldi, posti, potere di agire senza controlli pubblici.  A differenza di posizioni di altri sindacati, che hanno espresso la  propria rassegnazione a subire passivamente i tagli, e ad accettare  tipologie contrattuali interinali (perfino tipo call center), RdB  Farnesina riafferma con forza la propria opposizione al piano di  smantellamento progressivo della P.A.  Dipende soltanto dal personale del MAE rigettare il piano “MAE leggero”. Scegliamo bene i sindacati che ci devono rappresentare.      

3. Addio, Madagascar   “Madagascar, adieu”, il titolo del romanzo che completa la trilogia dedicata a quel Paese dal Ministro Guido Nicosia,  ultimo Ambasciatore a rappresentare l’Italia nell’Oceano Indiano. Dopo di lui, e malgrado ogni tentativo di mediazione, il niente, preceduto dal peggio, accompagnato dall’inevitabile coorte di gaffe, approssimazioni e tirare a campare. 

La Premiata Ditta Farnesina decise,  infatti, di chiudere, inopinatamente, la  nostra “piccola” Ambasciata, il primo  giugno 2000, giusto in tempo per evitare la  Festa Nazionale, e, soprattutto, le inevitabili quanto imbarazzanti spiegazioni che, d’altronde, nessuno avrebbe saputo fornire  all’allibito Paese ospite. Il prestigioso  Dicastero, fiore all’occhiello della burocra zia italiana, noto all’epoca come  “Fornarina”, in omaggio alle prodezze  della temibile e terribile consorte del  Ministro regnante, al tempo del misfatto,  non trovò migliore soluzione, per rimedia re alla castroneria consumata, che nominare un “console onorario”, scelto accuratamente tra le persone fortemente sconsigliate dalla stessa Ambasciata, ob torto  collo consultata, a tale proposito, tanto per  salvare la forma.

  La “piccola” Ambasciata, infatti, prima di  chiudere i battenti, aveva pur comunicato  l’inopportunità di ricorrere ai servigi della  Signora Cinzia Catalfamo, più nota, in  seguito, come Nostra Signora dei Turchi,  per la sua conversione e conseguente  matrimonio con un mussulmano, protagonista di spicco delle cronache giudiziarie del  Paese.  Tecnicamente, il Madagascar divenne un  accreditamento secondario dell’Ambasciatore  d’Italia in Pretoria, costretto ad aggiungere un  nuovo onere alle già complesse funzioni affidategli che lo costringevano a “dividersi” tra la  Cancelleria di Pretoria, quella di Cape Town,  (in Sud Africa, infatti, manteniamo una doppia  Cancelleria diplomatica ed una doppia  Residenza, un Consolato Generale e due  Consolati, mentre chiudiamo l’unica  Ambasciata nell’Oceano Indiano: viva la  razionalizzazione!), il Lesoto, Madagascar e  l’isola di Mauritius.  

  Pur non dubitando delle mai abbastanza  celebrate virtù canoniche degli illustri esponenti della Carriera, non siamo certi, sia  pure con i Sensi della Nostra più Alta  Considerazione, che tra i requisiti necessari al prestigioso cursus honorum, vi sia  anche quello dell’ubiquità.  Negli arcani della burocrazia bizantina della  Farnesina, un simile atteggiamento sottintende, in sostanza, l’assoluta indifferenza ai  problemi reali, sistematicamente subordinati a quelli “politici”, o meglio, dei politici  che, grati, assicureranno la loro benevolenza. 

  Di tale natura, infatti, fu la decisione di chiudere la piccola Ambasciata, pervicacemente voluta da Lamberto Dini, fine economista  e integerrimo censore, il quale, intese, in tal  modo, ripianare la traballante economia ita liana e rilanciare la nostra politica estera.  Noblesse oblige, direte voi. Balle, diciamo  noi. Il Doctor Subtilis, lo statista enigmatico  (nel senso che pochi capirono la linea politi ca del suo infausto dominio farnesino), inten deva semplicemente privilegiare gli interessi  “sudamericani” della consorte, decisa a non  rinunciare ad una delle sue “ambasciatine”,  sparse a pochi chilometri di distanza tra  Panama e Quito. Chi volesse conoscere i  particolari di quest’ennesima vicenda di mal costume all’italiana, legga “L’Affare Valfré” e  “Piccole Ambasciate”, pamphlet graffianti,  dedicati dall’Ambasciatore Guido Nicosia  agli ultimi giorni dell’impero, che mettono alla  gogna, con sottile ironia, il servilismo ottuso  della diplomazia romana, ansiosa di obbedire, con l’indifferenza dei sicari, al padroncino  di turno.  

  Prescelta Pretoria come sede di accredita mento, si prese atto, in seguito, naturalmente, che i due Paesi non avevano alcun  punto di contatto, culturale, linguistico o  commerciale. Inezie, agli occhi degli arlecchini servi di tanti padroni. A nessuno venne  in mente di avere in tal modo, tra l’altro,  abbandonato laggiù oltre mille italiani, tra  cui centinaia di missionari, privati di assistenza e protezione, in un contesto, di per sé, abbastanza difficile.  

  Da qui, dunque, il percorso di guerra dei  nostri connazionali, costretti a fare la spola tra Antananarivo e Pretoria, per qualsiasi  necessità di ordine amministrativo.  

  Le economie fino all’osso (le spoglie degli  altri, s’intende) del novello Quintino Sella,  moralizzatore con la faccia di triglia, hanno condotto, peraltro, ad una situazione paradossale, se non addirittura pazzesca. A fronte di un risparmio irrisorio (realizzato, forse,  sulla gestione), la sede dell’Ambasciata, Rue Pasteur Rabary, Antananarivo, Madagascar,  di proprietà del Governo italiano, suppellettili  comprese, è stata abbandonata al degrado e  all’incuria più totali, fulgido esempio di sper pero e d’incuria, comportamenti che, un  tempo, avevano perfino un nome nel Codice  Penale. Acqua passata. Il danno all’erario, la  malversazione, il pasticciaccio brutto, sono  ormai, sulle sponde del Tevere, un peccatuccio a mala pena veniale, sdegnosamente  ignorato perfino dagli organi istituzionalmente preposti alla salvaguardia del patrimonio  dello Stato, Demanio e Corte dei conti compresi, dai quali, infatti, non è arrivato, né mai  arriverà, alcun segnale.  

   I responsabili dello scempio vagano nei corridoi dei passi perduti, in tutta impunità. In  fondo, non erano che sicari, utilizzati per  mascherare la volontà di svendere l’immobile, ormai degradato, per un pezzo di  pane, all’agguerrita “consolessa” che, nel l’indifferenza e compiacenza del Ministero, sfoggiava impunemente il titolo di  “Ambasciatore”, perfino negli ambienti  diplomatici malgasci, strappando, forse, mugugni contegnosi e sorrisetti ambigui ai controllori che non hanno controllato.  Il diavolo, tuttavia, come è noto, i coperchi  non li sa fare.  

  Il Governo malgascio, infatti, stanco dell’arroganza di Nostra Signora dei Turchi, del l’indifferenza conclamata della Farnesina,  ha deciso, motu proprio (or volge circa un  anno) di ritirarle l’exequatur, scatenando il  panico sulle sponde del Tevere e in quel di  Antananarivo, dove i simboli del potere,  scudo e bandiera consolari, sparirono, riap parvero, sparirono nuovamente.  Che fare? Le Cancellerie diplomatiche si  consultano, scambiano Note, ma  Antananarivo è irremovibile. Basta e così  sia. La consolessa con lo chador viene  abbandonata al suo destino. Occorre una  figura nuova, certo, ma chi? Comincia il  minuetto dei “dossier”, delle raccomandazioni, delle segnalazioni, gli amici degli  amici si scatenano, ma il console tanto ono rario da essere appena presentabile, non si  trova. Fine della sceneggiata.  Insomma, la vogliamo finire? Fatevi coraggio Eccellenze, Ministri Plenipotenziari,  Signorie Vostre, Consiglieri diplomatici: il  Padrone se n’è andato, starà ballando il  tango con la sua degna metà, ed è poco  probabile che ritorni, anche se il peggio non  muore mai.  

 Provateci, insomma, a riaprirla  quest’Ambasciata! Magari non ci riuscire te, ma, almeno, vi sarete fatti sentire. Un  consolatino, almeno, con quattro gatti  “funzionali” ed uno dei vostri, cui non  dovreste neanche pagare Residenza e  vettura di rappresentanza, a dirigere la  musica. Vi spaventa? Guardate che l’immobile è nostro, le suppellettili pure, carta  e penne, magari, ce le compriamo da soli,  facciamo una colletta. Basterebbe attacca re il telefono e la luce. L’aria condizionata  non c’è mai stata e nemmeno il riscalda mento. Dopotutto, non siamo americani.  

  La “Piccola Ambasciata”, negletta e disertata  (la rima è involontaria), ha lasciato un vuoto  grande nell’Oceano Indiano, dove, i concorrenti storici e pure gli ultimi arrivati, fanno  ormai la parte del leone, ringraziandovi di  aver lasciato libero il campo e, soprattutto,  abbandonato per sempre l’illusione di esse re una potenza internazionale.

4. DEMOCRAZIA E TRASPARENZA: il tempo è galantuomo   

Come tutti i nostri iscritti ben sanno, anche a costo di essere uno spiacevo le tormentone, questo Sindacato autonomo, ha lasciato lo scorso anno l’af filiazione alla Federazione Intesa per l’indegna gazzarra sollevata da quest’ultima, a cui eravamo, forse con leggerezza, aderenti, a seguito della decisione unanime del Direttivo di allontanare il famigerato Grassi Fernando da  ogni carica direttiva per la sua scriteriata condotta politica e personale che  portava la stessa Amministrazione del Ministero ad irrogare una pesante  sanzione disciplinare. 

Da allora siamo affiliati alle Rappresentanze di base del Pubblico Impiego  con la quale si è creata una virtuosa sinergia che ci ha portato ad esser più  incisivi nei confronti dell’Amministrazione e a distinguerci in un panorama  Sindacale fermo a delle categorie che lasciano i lavoratori insoddisfatti della  rappresentanza e delle scelte, che poco li tutelano.  

Di pari passo è però andato avanti il contenzioso con Intesa che ci aveva  accusato di comportamenti illeciti e lesivi, non solo in campo sindacale ma  anche in campo economico e di rappresentanza.  Ebbene il Tribunale ordinario di Roma ha emesso un ordinanza (lo scorso  19 settembre) in cui RIGETTA il ricorso proposto da Intesa in quanto ha  ritenuto mancante il presupposto nel caso perché non e’ stato leso alcun  diritto: “il ricorso è infondato e va rigettato per mancanza del fumus boni  iuri”.  

È di questi giorni, con il giornale in chiusura, la pubblicazione, in data 4  ottobre c.a., a pag. 6 del Foglio di Comunicazioni del MAE, della notizia del  DM 031/1612 :“ l’Amministrazione recede per giusta causa dal rapporto di  lavoro a tempo indeterminato con il dipendente dell’area funzionale C, posizione economica C1, signor Fernando Grassi, …omississ.. in applicazione  di quanto previsto dall’articolo 2119 del codice civile e dell’art 1 comma 61  della legge 23.12.1996 n 662.”  

Ricordiamo ancora una volta, rinviando a quanto pubblicato nel precedente  numero de “Il Farnesino”: Ma è evidente che i circa tre mesi di congedo sindacale (nel solo 2005) concessigli dal sig. Francesco Prudenzano (ndr:  responsabile della federazione Intesa), devono essere stati utilizzati diversa mente, ammesso che il signor Fernando Grassi non è rimasto per più di  un’ora nella sede sindacale”.  

Come sempre, in questi anni, il gruppo dirigente della nostra organizzazione sindacale si è mosso nell’ambito della legge con responsabilità nei con fronti dei lavoratori che abbiamo rappresentato e nel dialogo, a volte forte,  ma sempre corretto ed etico, nei confronti dell’Amministrazione.  

Detto questo dobbiamo inevitabilmente porre l’accento sulla situazione  attuale:  dopo l’incontro col Ministro (pochi giorni fa) prepariamoci ad una fattiva  mobilitazione a contrasto di una manovra che vuol far pagare sempre ai soli ti ignoti i costi del risanamento. Di fatto, la scelta dei tagli all’amministrazione e ai servizi resi alla cittadinanza ci sembra una decisione suicida che  non va nel senso del risanamento e dello sviluppo, ne c’e’ stato tantomeno  alcun tipo di confronto con le OO.SS.  

CAMBIANO I GOVERNI MA I LAVORATORI DEVONO CONTINUA RE A SOBBARCARSI OGNI TIPO DI SACRIFICIO! “Sempre uguali più  uguali degli altri”.     

5. La grande torta alias: la grande abbuffata    

Le funzioni dello Stato sono sempre state  indispensabili e lo sono ancora per la convivenza civile. E lo sono tanto più nell’epoca del turbocapitalismo globalizzato, di  Microsoft e di Walmart. Il mercato, soprattutto  quello libero ed efficiente, ha bisogno di qualcuno che non è parte in gioco, di un arbitro che faccia rispettare le regole e che garantisca l’equo  trattamento degli interessi dei cittadini.  Indebolire la Pubblica Amministrazione serve a  garantire ampi spazi di manovra ai privati, appaltando i servizi pubblici a chi è parte in gioco. Chi  predica lo “Stato leggero” sa bene quello che fa.   

  Il 50% del PIL italiano è direttamente riconducibile alla Pubblica amministrazione. E’  questa la grande torta del XXI secolo. Chi  sono i privati interessati a sostituire la  Pubblica Amministrazione nelle sue funzioni?  Guardiamo a ciò che succede da noi.  

  Dopo il crollo dei partiti della prima repubblica i  sindacati da cinghia di trasmissione dei partiti sono  diventati il motore della seconda repubblica. E’ un  motore che consuma molta benzina (pubblica).  

  I CAF dei sindacati ricevono compensi dallo  Stato per la dichiarazione dei redditi (350 milioni di euro l’anno). Di questa somma, il 25% va  alla Cgil, il 19% alla Cisl, il 7% alla Uil e il resto  alle altre sigle. Ma altri soldi pubblici arrivano ai  sindacati tramite i patronati, che assistono i cittadini nei rapporti con gli enti previdenziali.

 Ogni  grande sindacato ha il suo patronato: la Cgil ha  l’Inca, la Cisl ha l’Inas e la Uil ha l’Ital. Le sedi  dei sindacati (ex fasciste) sono state acquisite  gratuitamente; quelle dei patronati pure perché  spesso all’interno degli stessi istituti di previdenza o di enti pubblici, con un bel risparmio sui  costi di gestione. Ai patronati va lo 0,226% dei  contributi obbligatori incassati da Inps, Inpdap e  Inail. In tutto fanno circa 320 milioni di euro  l’anno, dei quali il 28% finiscono all’Inca-Cgil, il  20% all’Inas-Cisl, il 15% alle Acli, il 6% all’Ital Uil.

Dobbiamo poi sommare le generose sovvenzioni che lo Stato italiano e la UE elargiscono ai sindacati sotto forma di compensi per l’organizzazione di corsi di formazione professionale,  della cui utilità abbiamo tutti un’opinione diretta  per averli ben conosciuti. I sindacati sono anche  gli organismi che fanno da punto di riferimento  di moltissime ONG (esenti da IRAP!), destinatarie di molti aiuti economici pubblici (tra cui  anche i fondi della Cooperazione allo sviluppo).  

Ora i sindacati gestiranno il TFR (miliardi di  euro). Chissà chi siederà nei consigli di amministrazione dei fondi che si occuperanno dei soldi  dei lavoratori? Chissà a quanto ammonteranno i  compensi dei manager di estrazione sindacale?   

La finanziaria 2007 non si dimenticherà di loro.  Altri soldi sono in arrivo per i patronati: si farà  da loro la pratica di richiesta di permesso di  soggiorno. A quando la completa sostituzione  dei consolati con le oltre 200 sedi dei patronati  all’estero?